La consegna
Qual è la tua più grande paura?
Nel mondo dei defunti è stato aperto un contest a cui inviare una lettera dove viene descritta la propria paura, al vincitore verrà concesso l’onore di non avere più questa fobia (di qualunque tipo sia: paura di un insetto, di un’emozione, di una persona).
Per partecipare, però, bisogna scriverla con una particolare macchina da scrivere.
Quando è stata la prima volta che hai avuto paura di questa cosa?
È dovuta alla morte di qualcuno? A un cibo che ti ha fatto male? A un animale che ti ha morso?
Scrivi la tua lettera e racconta qual è la tua paura, poi disegna su un foglio la macchina da scrivere che hai usato.
Mauro (@Mauro Rondoni)
Chivasso 1970
C’era un calzificio lungo la via dove abitavo in quel tempo. Cinque minuti prima delle quattordici in punto, una sirena comandava l’entrata delle lavoratrici. Ricordo ancora bene quel maledetto fischio, un autorevole e scocciante sibilo che brontolava severo nei cortili di tutto il quartiere, intrufolandosi anche tra l’odore di caffè e tra i piatti da lavare del dopo pranzo. Dalle vie attorno, torrenti di gonnelle svolazzanti con sopra camici blu, si riversavano in un fiume scomposto che varcava il cancello principale. Il concitato orologio della fabbrica allora, marchiava i cartellini come fossero i buoi di una mandria ed io, aspettavo con pena l’inclemenza del secondo fischio per ritirare i giochi e dare inizio ai miei compiti di alunno svogliato.
Bang, bang, bang…
Tuttavia, quella poca concentrazione sui libri di testo veniva disturbata dagli spari che arrivavano da qualche parte, lì vicino. Ero curioso di sapere chi e a che cosa si sparava con tanta insistenza. Il cancello da dove provenivano gli spari era sempre chiuso e nessuno da fuori poteva vedere cosa succedeva là dentro.
Bang, bang, bang…
Un vecchio ferroviere in pensione, che abitava all’ultimo piano del nostro palazzo, un giorno finalmente me lo svelò, mi disse che quello era il macello comunale. Una macelleria gigante dove tori, vacche, maiali e cavalli, prima di essere brutalmente squartati venivano uccisi da una pistola spara chiodi con un colpo secco, dritto in fronte.
La curiosità cominciò a salirmi dalle caviglie, divenne impetuosa ed in breve, irresistibile. Così, un pomeriggio di maggio, tornando dal dopo scuola mi soffermai davanti alla cancellata. Mi accorsi che in uno dei due pilastri che sorreggevano l’ingresso c’era una fenditura. Senza perder tempo, buttai la cartella di finta pelle sgualcita a terra e spiaccicando il viso contro il muro, sbirciai attraverso la crepa di quel edificio infernale. C’era un’intollerabile puzza di carne rinsanguata che m’investì la pupilla ed il palato spalancati dall’orrore, mi venne voglia di vomitare.
Bang, bang, bang…
L’incessante ticchettio mortale da lì dentro prendeva a botte il mio timpano attento e con i conati che prendevano a calci il mio stomaco. A terra, brandelli di frattaglie e interiora spappolate che un getto d’acqua continuo non riusciva a spazzare via.
Bang, bang, bang…
Appena sopra la mia fronte, decine e decine di grosse carcasse dal manto candido ma con le zampe e la testa mozzata giacevano appese su delle catene pronte per essere spolpate. Dondolavano, giravano disorientate in quel magazzino buio e gelido. Sembrava vagassero come fantasmi alla ricerca della propria testa e dei propri zoccoli.
Bang, bang, bang…
C’erano poi degli uomini vestiti completamente di verde ma sporchi di sangue con delle lunghe lance affilate e abbacinanti in mano che trascinavano verso gli inferi senza un lamento, una fila di tori malamente bendati. Tutto era sporco di sangue, il cortile, i muri, le finestre rotte, gli stivali e le facce di quegli uomini pure erano zuppe di sangue.
Bang, bang, bang...
Le revolverate avevano una cadenza costante e ad ogni colpo che sentivo, la pelle della mia fronte si accartocciava, immaginando un chiodo appuntito conficcarsi in mezzo agli occhi, spaccando in due il piccolo cranio di un bambino terrorizzato ma che non riusciva a fuggire.
Sono trascorsi tanti, davvero tanti anni da quel tempo. Ora, al posto del mattatoio ci hanno costruito un grande supermercato e difronte ad esso, dove un tempo c’erano le erbacce, una bella spianata di asfalto per le giostre e per i carrozzoni degli zingari, ma i miei pensieri funesti che si affacciavano allora, sono gli stessi che avverto oggi ogni qualvolta mi capita di sentire uno sparo.
BANG!
Silvia (@rougewine)
Emofobia
Ero una bambina di 5 anni.
Nel cortile della scuola, durante l’intervallo, stavo giocando con le mie compagne, facevamo la gara a chi faceva la ruota più dritta.
Io mi sentivo già in vantaggio perché due volte a settimana facevo gli allenamenti di ginnastica artistica quindi ero sicura di vincere questa volta.
Eravamo in 5, io sarei stata l’ultima.
Ero emozionata, sentivo già la vittoria in tasca perché le altre bambine facevano tutte danza e sapevo che non erano un granché.
Le prime tre, infatti, come da mia supposizione avevano fatto una schifezza, non avevano neanche staccato i piedi da terra.
Ora toccava alla quarta bimba, cantavo già vittoria perché Matilde essendo molto robusta, era sempre stata molto impacciata.
Alzò le braccia per prendere lo slancio, ma invece di fare un passo per fare la ruota, appoggiò le mani per terra e ruotò la gamba indietro.
Io stavo guardando davanti a me senza troppo interesse e sorridevo come una ebete per la presunta vittoria che non mi accorsi dell’arrivo della botta.
La mia compagna era talmente goffa che facendo la ruota, non so come, riuscii a darmi un calcio sulla faccia colpendo con il tallone il mio naso.
Improvvisamente la vista diventò nera, poi sentii delle voci in lontananza e aprendo gli occhi vidi solo l’azzurro del cielo. Sentii urlare il mio nome diverse volte, poi dopo qualche secondo tornai lucida e riuscii a sollevarmi per mettermi seduta.
Feci un sorriso per far capire che stavo bene quando improvvisamente sentii un liquido denso e caldo sulle labbra.
Mi toccai la bocca e guardando le mie dita vidi del sangue, aveva un colore che era un misto fra violaceo e rubino.
Le mie compagne iniziarono a urlare a squarciagola perché il mio viso si riempii di sangue.
Cercai di alzarmi perché era il mio turno della ruota, ma dato che il sangue dal naso scorreva a fiumi, la maestra mi portò in infermeria per medicarmi.
Iniziai a piangere, la maestra cercava di consolarmi e mi diceva che andava tutto bene, che il male sarebbe passato, ma lei non capiva, io stavo benissimo, piangevo perché non mi faceva tornare alla mia gara, io volevo tornare in cortile per fare la mia ruota e arrivare prima.
Molti anni dopo, ero un’adolescente, mio padre mi portò ad un concerto del mio gruppo preferito, ero felice, spensierata nell’attesa dell’inizio e anche molto emozionata che continuavo a saltare di gioia.
Ad un certo punto mi tolsi lo zainetto per prendere una bottiglietta d’acqua ma mi scivolò per terra, dietro di me c’era un papà insieme alla figlia, si chinò per raccoglierlo esattamente nello stesso momento che lo feci anche io e senza farlo apposta mi diede una testata in faccia colpendo il naso.
Rimasi in silenzio, non era successo niente, stavo bene ma quando iniziai a sentire il caldo liquido uscire dal naso, il mio corpo non capii più nulla.
Iniziai a sentire come paura, un senso di angoscia. Sentivo le mani tremare, il corpo avvolto da brividi, la vista si annebbiò, improvvisamente avvertii un forte mal di testa e vedevo la stanza girare provando un forte senso di nausea.
Non ricordo più niente di quella sera perché mi svegliai in una stanza con un paramedico che mi stava prendendo la pressione, dallo shock ero svenuta e mi accorsi di avere la stessa delusione della mancata ruota; non poteva essere una coincidenza.
Successivamente mi accorsi di avere tutte queste sensazioni alla vista del sangue, anche non del mio e un giorno il dottore pronunciando la parola EMOFOBIA mi fece venire il vomito.
Scrivo a voi per chiedere aiuto, ho bisogno del vostro aiuto.
Igor (@gribyslab)
Cari defunti, Ma il tempo per fare tutto ciò che si vuole esiste in questa vita? Come avete imparato a dire: a posto, il tempo che ho dedicato a questa attività è giusto, proporzionato.
Vivo nella costante impressione di dover sempre rincorrere i minuti per farci stare quante più cose possibili. A volte ne pago le conseguenze.
Voi da lassù, quando guardate indietro che ne pensate del vostro tempo?
L'avete speso bene?
Ci si deve accontentare, credo.
Sono a un passo da compiere la cifra 30.
Ne sto facendo un dramma.
Ogni tanto mi dico di aver speso bene il tempo, altre volte invece mi sembra di aver sprecato tante occasioni. Dannato libero arbitrio.
Sto scrivendo con questa Olivetti GL nera che ho trovato nello scantinato dei nonni, non so di che anno sia, è inquietante, sembra arrivata dall'inferno.
Chissà se Dio e Lucifero si scrivono lettere.
Mi piacerebbe leggere un loro scambio epistolare.
Anonimo
La Voragine della Solitudine
Ho sempre guardato con invidia quegli esseri umani così indipendenti e solitari, capaci di vivere momenti interminabili soli, unicamente con se stessi. Passando weekend, isolati nelle loro stanze. Io dentro di me, percepisco una voragine, la voragine della solitudine. Una paura che mi attanaglia da sempre. Mi sento di scivolare in un burrone infinito. Cerco di aggrapparmi alle sue pareti, ma la sua discesa è inesorabile. Il mio cuore sprofonda in una cupa tenebra.
Eppure la luce si può sempre ritrovare, magari un bagliore fasullo, una luce non vera. Ma ho sempre cercato di combattere questo sentimento. Le community create da me sono innumerevoli, il contatto con le persone mi dà sempre gioia. Voglio sentirmi di far parte di qualcosa, di un legame, io voglio essere molteplici persone, culture, emozioni, sentimenti.
Anche in questi momenti, come uno stalker da lontano, un mastino delle brughiere, la paura della solitudine ti può osservare con occhi sommessi da distanza, scrutando nuovamente la tua voragine. Sono davvero amici quelli? Ti aiuteranno nel momento del bisogno? È solo qualcosa di passaggio?
Ma a lei, non bisogna dargliela vinta, continuare a combatterla. Ogni essere umano viene rallentato da paure, ansie ed emozioni. Il nostro compito è combattere una guerra infinita con i nostri limiti personali. E la solitudine è da sempre una delle più grandi zecche che hanno infestato la mente umana da sempre. Causa di matrimoni sbagliati, amicizie false, rimpianti infiniti. Una delle paure più capaci di rovinarci la vita.
Io non ho comunque intenzione di farmi sconfiggere da essa. Voglio rincorrere il mio bene personale e fare le scelte migliori per la mia vita. La voragine si può sempre scalare con i giusti attrezzi di arrampicata e magari pure con la giusta luce.
Chi vincerà?
Spero io.
Elena (@lamentecarta)
Carissimi lettori decomposti,
qui vi parla una Lady di provincia alquanto dubbiosa sulla sua paura da debellare, perché se le venisse realmente privata non saprebbe che farsene di quell’incoscienza derivata dalla fiducia nel vivere gli spazi.
Mi spiego meglio:
Da che ho memoria soffro quelle azioni che dall’alto catapultano il mio corpo nel basso. Scivoli, ascensori e scale sono un blocco temporale e corporeo che fa dubitare della continuità della vita stessa: le gambe tremano, le mani sudano e il corpo si fa pesante, spinto a terra da una gravità incombente.
La paura della morte, della sofferenza e del vuoto si mischiano così in un’unica sensazione vertiginosa che tende ad aggravarsi con l’età e con la consapevolezza della fragilità della vita. Non getterei mai il mio corpo da altezze innaturali “per divertimento”, non avrebbe senso avvicinarmi alla morte quando spesso non sento viva nemmeno la vita.
Se non ci fossero questi momenti di grande allerta non ricorderei la sensazione tattile che l’intonaco freddo della casa di mia cugina scorreva sotto le mie dita di bambina, quando bloccata da sensazioni di vertigini, chiedevo di essere aiutata a scendere le scale; oppure non ricorderei il suono scricchiolante e minaccioso degli scalini in legno della torre degli asinelli di Bologna (che non finii di salire), così come altre scale e altre alture che, grazie alla paura, mi svegliano i sensi e permettono alla mia memoria di ricordare dettagli dei vari momenti altrimenti persi. Bloccarmi è necessario per ricordare, la paura è più forte della felicità, perché quest’ultima è inebriante, sconvolge i sentimenti, la paura ferma le emozioni e fissa il corpo in uno spazio reale che vivrà per sempre dentro di me.
Non vorrei vivere senza, forse vorrei solo non mi tremassero tanto le gambe.
Anonimo
Ogni crepa di un bicchiere caduto è una crepa dentro di me. Diventi così se sin da quando eri piccola ogni tuo errore viene urlato malvagità. Se vieni picchiata finché non ammetti che lo hai fatto di proposito, per far soffrire tua madre, perché sei una merda, perché sei una troia.
Un paio di occhiali su cui ti sei seduta per sbaglio, una saponetta scivolata per terra, una risposta mancata, una parola fraintesa. Dovrebbero essere niente. Ma se mi volto indietro, questi errori costellano il mio passato e mi fissano, mi giudicano, mi odiano. Sono momenti indelebili, come tutti i minuti della nostra vita che sono stati densi di emozioni. In questo caso, di terrore.
Ora prova a immaginare di sentirti obbligata a vivere una vita perfetta, priva di errori, perché pensi che qualsiasi sbaglio potrebbe fare di te o mostrare che sei una persona infima, senza cervello, e che non merita amore. Una vita in cui rifiuti ogni nuova esperienza, rifuggi dall’indipendenza, ti mordi la lingua quando vorresti dire di no. Persino a chi vuole approfittarsene di te.
Vorrei dire che l’unico modo per non sbagliare è non fare niente. Che è una vita a metà. Ma in realtà a volte sbagli anche quando eviti di agire. E così è come essere chiusa in una stretta gabbia circondata dalle fiamme, e continui a ferirti e spostarti verso un’altra parte che ti ferirà ancora.
Per favore, risparmiatemi. Fatemi uscire da questo terrore.
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𝐷𝜇𝜌𝑙𝜀𝜘 𝜌𝜎𝜀𝜏𝜄𝑐𝛼
16 maggio 2024 - 14 giugno 2024
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