© Hotpot Ai
La consegna
La stanza delle emozioni
Esiste una stanza magica che cambia forma e colore a seconda di chi entra. Scrivi un testo descrivendo come appare questa stanza quando sei tu a entrarci, quali emozioni provoca e cosa scopri al suo interno.
Gabriele (@Gabriele Amante)
Il Bosco e la Notte
Se vi fosse una Stanza dei Desideri
Ed io ne avessi la chiave
Dentro vi troverei il Bosco e la Notte
Perché il Bosco e la Notte
Sono per me
Il Regno della Libertà
Efed (@the_efed)
Nella provincia di confine tra il vercellese e il canavese, in quella fascia boschiva in parte selvaggia che nasce al piede della collina di Maglione, avvolgendola totalmente come una calda coperta scura, sorgeva vent’anni fa un luogo misterioso, incastonato tra le piante di castagno. Ancora oggi come vent’anni fa si può scorgere su una lieve altura in un angolo un tempo rigoglioso ma ormai ritornato alle origini più selvatiche, un edificio abbandonato dai tratti brutalisti, che forse un tempo fu casa vacanza insolita per qualche ricca famiglia di città.
Era il '21 quando tale obbrobrio venne riscoperto da Alessio, un camminatore seriale del lockdown, nonché curioso esploratore di Montonero già noto alle cronache per alcuni documentari del mistero girati tra le risaie.
Egli durante una delle sue esplorazioni s’addentrò all’interno della casa e scoprì una stanza misteriosa che sembrava avere vita propria, lui disse di aver visto delle cose belle ma indescrivibili, parlò di forme e colori surreali e di un manoscritto ritrovato al suo interno con alcune raccomandazioni scritte poi andato distrutto durante la sua permanenza. Disse anche che quella stanza era la cosa più strana che avesse provato e non intendeva rientrarci mai più, ne tantomeno girare uno dei suoi documentari lì dentro. Aggiunse che dopo il suo ingresso nella stanza si era risvegliato in un prato come dopo un sogno ma qualcosa in lui era cambiato.
Io e Francesca ci avventurammo in quella stanza come due incoscienti. Avevamo deciso di entrarci assieme, nonostante Alessio avesse consigliato vivamente di entrare uno alla volta. Ma noi eravamo incoscienti giovani ed innamorati, in pratica due sciocchi.
Ci eravamo conosciuti a Dresden un pallido pomeriggio di luglio mentre passeggiavamo distratti lungo l'Elba. Francesca era bellissima più di qualsiasi altra meraviglia barocca di quella città, io invece ero una bestia di provincia liberata nel fango. Non ho mai capito cosa ci avesse trovato in me una come lei, fatto sta che tutto nacque da uno scontro fisico involontario, io in un momento di lapsus le chiesi scusa in italiano e lei divertita replicò: “aoh de dove sei?” - “ki io? di Stroppiana!” - “boh semo apposto io so d’Azeglio! non d’origine, sia chiaro!”.
L’interno dell’edificio era molto spartano e mostrava i segni di anni di furti e vandalismo, c'erano frammenti di vetri e mobili rotti, alcuni rifiuti, bottiglie di birra con etichette degli anni 90, svariati graffiti sui muri a tematiche sessuali, calcistiche o anche semplici bestemmie. La maggior parte delle porte dei locali erano state scardinate creando una sorta di open space, ma, sul lato destro dell’edificio appariva ancora una porta metallica integra e apparentemente chiusa. Doveva essere quella la stanza.
Fu così che aprimmo quella porta. All’ingresso c'era una sorta di piccolo disimpegno con una tendina di quelle insonorizzanti tipo da palcoscenico, ma di colore nero. Ridacchiando Francesca prese la rincorsa e tenendomi per mano mi trascinò al di là della tenda dicendo “omo dai movete, nnamo!”.
Un primo istante ci fu il vuoto.
Il nostro iniziale ed energico entusiasmo si spense del tutto come se ci avessero ibernato…
Tutto intorno a noi s’estendeva un enorme spazio indefinito dall’aspetto perfettamente ellissoidale, rifletteva d’azzurro e grigio come una mastodontica e luminosa goccia di Dora Baltea svuotata all’interno. Ma fu un istante, xké, subito, i nostri piedi incontrarono una superficie oleosa ed iniziammo a rotolare e scivolare su noi stessi all'infinito ricoprendoci di lividi. Urlando e piangendo fino alla pazzia.
Non trovavamo pace ed anzi la velocità del nostro rotolamento aumentava senza sosta. Tenevo la mano di Francesca bene stretta perché era tutto quello che mi restava. La sentivo urlare aiuto in modo struggente, ma pian piano la sua delicata pelle si lacerò completamente. Tutto divenne rosso e salato come il sangue. L‘esile corpo di Francesca, enormemente più piccolo e leggero del mio, si spezzò. Il suo scheletro andò in frantumi e al bagno di sangue rosso e salato si aggiunse una frazione granulosa e tagliente d’ossa umane che a causa del moto continuo, divenne ben presto sottile ed abrasiva come sabbia del deserto. Ma il mio corpo reggeva, integro, nonostante l'orrore attorno a me, quasi come fosse fatto di un materiale differente da quello di Francesca. Quella frazione granulosa che di lei rimaneva rallentò il mio moto e gradualmente ritrovai una sorta di equilibrio, mi guardai intorno, e finalmente trovai il tempo e la forza di essere terrorizzato. Avevo perso tutto, imprecai e piansi nel sangue. Cercai di spaccarmi la testa disperato contro le pareti dello spazio ma l’unica cosa che trovai sfondando la superficie fu un fluido incomprimibile rossastro e salato. Provai a bere fino ad annegarmi ma non c'era verso di ingoiare quel fluido che come una massa vivente si ritraeva assumendo caratteristiche inaspettatamente elastiche. Infine, mi addormentai, sognando la morte.
Ci svegliammo mano nella mano su un prato di Maglione, era stato tutto soltanto un sogno. Mi voltai: Francesca aveva 47 anni ed era morta, sui suoi occhi c'erano due corone danesi bucate. Vi sembrerà strano ma mi sembrava tutto quanto normalissimo.
Igor (@gribyslab)
fantàsia
Sembrava una classica casa da sobborgo americano... tranne per i quattro alti camini, i gargoyles sugli estremi del tetto in tegole d'asfalto, le luci multicolori sul portico, le canali nere con forme dei più svariati animali, un picchiotto a forma di ghepardo e un giardino rigoglioso di fiori ad ogni stagione.
Una pacchianeria non da poco, una cosa che a prima vista l'unica sensazione che ti procurava era noia.
Noia pura.
Ma per coloro che non si abbattevano al primo impatto quella casa aveva qualcosa da regalare.
Dopo aver mollato il picchiotto la porta si spalancava da sola con un sonoro cigolio da strapparsi i timpani. Gli interni neri assorbivano parecchia luce, sembrava quasi dirti di andartene, che la noia di prima adesso si sarebbe evoluta in ossessiva tensione difficile da sopportare.
Ma per coloro che non si abbattevano, superato il corridoio dopo l'ingresso, qualcosa cambiava.
L'aria iniziava a profumare di estate in sala, di Natale in cucina, di un sensuale profumo femminile in camera da letto, di lavanda in bagno.
La scala che conduceva al piano interrato era posta al centro della casa ed era soffocata da due tendoni scarlatti, gli scalini presentavano una fantasia chevron, un motivo decorativo a zigzag bianchi e neri. Scendendo veniva da chiedersi se si fosse finiti nella Hill House di Shirley Jackson, ma una dolce canzone, Girl from the North Country di Bob Dylan e Johnny Cash, aumentava di volume man mano che ci si avvicinava al piano interrato. A fondo scala, un piccolo cartello scritto e disegnato da un bambino, chiedeva di togliersi le scarpe e di camminare scalzi, senza particolare motivo ti sembrava una richiesta che meritava di essere accontentata. Posando i piedi nudi a terra, nel legno nero e lucido di quella camera sottoterra, si percepiva uno strano calore provenire da chissà dove. Proseguendo, la musica si settava ad un volume sopportabile e la luce svaniva, lasciandoti per qualche secondo nel buio più completo e poi, poi succedeva. Proseguendo nel cammino sotto i propri piedi il legno nero si trasformava in una fantasia multicolori liquida e fumosa, sembrava di star giocando con una proiezione di luce 3D ma non c'era nessuno proiettore a creare un'illusione ottica. L'aria profumava di ciò che profuma casa nostra, l'ipnotico giro di chitarra della canzone obbligava la propria camminata a seguire un ritmo lento, svoltando un angolo a destra la camera che ci si trovava di fronte da nera, scura e per nulla invitante si trasformava in una pioggia di colori. Il viraggio avveniva con quella fantasia multicolore liquida e fumosa, e lì si riconoscevano i giochi della propria infanzia, le foto dei propri cari, da una finestra (che come poteva esistere in un seminterrato?) si scorgevano episodi felici della propria infanzia visti da spettatori, sulla scrivania si riconoscevano i propri libri, le proprie console, i propri astucci delle elementari.
In men che non si dica la chiamavi casa, quella camera.
Perché la fantasia di ciascuno, era la cosa più benvenuta.
Teodora (@teodora.anton)
La stanza dei ricordi
Stanza, cara stanza, ma come ti han conciata?
Ti rimangono quattro mura grigie, come quelle di certe psichiatrie antiche, e sui loro volti si apron squarci secolari fatti in carta da parati e affanni. Dal gelido muro nero sottostante trasudan lacrime ghiacciate, espressione di un inverno, un freddo inferno, passato nel tempo, presente nel cuore.
Sarà stato qualcuno malinconico?
In un angolo giaccion depositati una miriade di giochi dai colori spericolati, ‘sì tanti colori che tutti è impossibile conoscerli, a meno che non vengono guardati con gli occhi della fantasia. Sotto una parete, lì vicino, s’intravede un lettino: d’amore e morbide piume è ricoperto. Le lenzuola son soffici, come le guance di un neonato, e bianche, come, dello stesso, son bianchi e puri i pensieri.
Sarà passato un infante?
Esiste un prato lì fuori oltre la finestra e, guardando con più attenzione, scopri quali sono i colori della sincerità e della compassione. Essi si rincorrono e si deliziano con feste gioiose e, chiunque capitasse sotto il loro sguardo, riuscivano a rendere dolce e di serenità riempire. Mai si separano e insieme dormono.
Esisteranno, forse, anche due animali?
Al centro della stanza, un piccolo alberello accuratamente ornato, nei dettagli curato. Mille palline tutte diverse, create dalla mano esperta della gentilezza, sono illuminate dalla luce calda di un pensiero primordiale che arde come un fuoco autunnale. Sulla punta dell’alberello si accende una stella cadente nella quale riposano stanche le speranze stanche di una donna che mai si darà pace.
Saranno state le sue mani?
D’improvviso un boato seguito da citate parole, forti e reali:
“La visione è vietata
Ai cuori troppi fragili
E ai cervelli infinitamente razionali.”
𝐷𝜇𝜌𝑙𝜀𝜘 𝜌𝜎𝜀𝜏𝜄𝑐𝛼
#32
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